“Ausencias” di Gustavo Germano
Oggi è il Giorno della Memoria e il pensiero non può non andare all’orrore dell’Olocausto.
Il mio, però, va sempre anche nella direzione geograficamente opposta: verso l’America Latina, che negli anni ’70 e ’80 ha vissuto olocausti altrettanto laceranti e in un periodo così recente da far pensare che la Storia non insegni mai nulla.
Da bambina ero ipnotizzata dai racconti di mia nonna che era nata e cresciuta a Buenos Aires, una città così lontana in un mondo in cui l’aggettivo “lontano” aveva ancora un senso, affascinata dal suono di parole di una lingua a me sconosciuta e dall’emozione dei viaggi nei bastimenti. Forse per questo le storie moderne di Argentina, Cile, Perù, Nicaragua, Guatemala mi hanno sempre appassionata e negli anni ho letteralmente divorato materiale sull’argomento.
Nel 2008 ebbi la fortuna di visitare la mostra fotografica del fotografo argentino Gustavo Germano, che portava in giro per il mondo il suo progetto sui desaparecidos. E ne restai folgorata.
L’idea di Gustavo era raccontare la tragedia della repressione durante la dittatura e, partendo dalle foto conservate negli album di famiglia, scattare un’immagine negli stessi luoghi e con le stesse persone, ponendo così in risalto l’assenza di chi fu inghiottito dal buio di quel periodo oscuro.
Di qui in nome del progetto: “Ausencias“.
Scrive Horacio Verbitsky, notissimo scrittore e giornalista argentino, i cui lavori hanno permesso di rendere note molte delle atrocità commesse:
La desaparición forzada de personas que debían esfumarse en la nada fue el método elegido por la dictadura argentina de 1976-1983. Según varios de sus jefes, así buscaron evitar la condena de la Santa Sede, con la aprobación sigilosa de la jerarquía argentina. Pero a cambio consiguieron que aquel pasado atroz llegara a ser un insomne presente perpetuo, como la maldición que Neruda pensó para Franco. Más que los juicios penales, las investigaciones periodísticas o los ensayos filosóficos, el arte da cuenta del vacío lacerante que la ausencia inexplicable provoca. Como las esculturas de Juan Carlos Distéfano o los poemas de Juan Gelman, los cuadros de Carlos Alonso o los del español Ramos Gucemas, las fotografías de Gustavo Germano y los puntos que en cada leyenda reemplazan al nombre ausente evocan ese trauma fundador de la identidad argentina contemporánea y nos introducen al misterio del tiempo con la muda violencia de un gesto congelado.