Un grande sogno chiamato Aral’
“Raskalov i ego komanda” è un inno al grido di “Roofers di tutto il mondo unitevi”, parafrasando un altro ben noto slogan. Il blog di Vitalij Raskalov raccoglie una nutrita documentazione fotografica delle numerose imprese compiute con il suo gruppo in giro per il mondo e il cui obiettivo è: arrampicarsi in cima agli edifici più alti eludendo la sorveglianza e rigorosamente privi di qualunque misura di sicurezza.
L’Asia centrale mi ha sempre affascinata con i suoi spazi sconfinati, i paesaggi incredibili e l’enorme varietà di etnie, lingue, tradizioni. Sono stata a Samarcanda e Buchara, in Uzbekistan, negli Urali e sul fiume Ural’, che segna il confine fra Europa ed Asia, ma il desiderio di poter percorrere la leggendaria Via della Seta è ancora solo un sogno. Per ora.
L’ultimo viaggio di Vitalij, accompagnato da Vadim Macharov, si è svolto proprio in Asia centrale, fra Uzbekistan e Tadzhikistan. Ho letteralmente divorato il suo articolo (di cui riporterò un breve riassunto tradotto dal russo) per arrivare alla parte che più attira la mia fantasia di viaggiatore: il lago di Aral’, o meglio quel che ne resta.
Aral’ (Aral’ o Aral′skoe more, in russo) è un lago dell’Asia centro-occidentale, tra Uzbekistan e Kazakistan, per estensione uno dei più grandi della Terra (66.000 km2 nel 1950). Privo di sbocchi al mare e soggetto a intensa evaporazione a causa del clima continentale e a tratti desertico, manteneva il proprio equilibrio idrico solo grazie ai due immissari, l’Amudar’ e il Syrdar’, la cui portata venne drasticamente diminuita a causa dei continui e ingenti prelievi di acqua per l’irrigazione di ampie aree cotonicole delle repubbliche sovietiche dell’Asia centrale. La sua superficie già notevolmente ridotta negli anni 1960, nei due decenni successivi si divide in due laghi separati: il Grande e il Piccolo Aral’, la cui area complessiva è inferiore a 34.000km2. Se non verranno attuati al più presto piani di recupero ambientale, il Grande Aral’ subirà un ulteriore frazionamento in diversi piccoli bacini separati e il Piccolo Aral’ probabilmente si prosciugherà del tutto.
Il progressivo prosciugamento dell’area lacustre ha innescato disastrosi fenomeni con pesanti conseguenze sull’ambiente. La diminuzione del volume idrico ha provocato l’aumento della salinità dell’acqua (ormai di poco inferiore a quella media del mare), con la conseguente scomparsa di molte specie ittiche e un’accentuata salinizzazione dei suoli circostanti, rendendoli praticamente non più fertili. Questa situazione di degrado ambientale già negli ultimi anni 1980 aveva suscitato preoccupazioni nella dirigenza sovietica ed era stata istituita una commissione per la valutazione di progetti volti al ripristino del volume idrico dell’Ara’, ma con la fine dell’Unione Sovietica e l’insorgere di interessi, a volte contrastanti, delle Repubbliche neoindipendenti non hanno consentito di dar corso nessuno di essi.
(estratto da Treccani.it)
Il viaggio di Vitalij e Vadim parte da Tashkent, capitale dell’Uzbekistan (foto 1-6) per arrivare poi a Mujnak, la città più vicina al Mare di Aral’. Questo lago così immenso, tanto da essere definito “mare”, era il quarto più grande del mondo. Negli anni ’60 i suoi immissari, Syrdar’ e Amudar’, vengono deviati attraverso una rete di canali per irrigare le terre di Uzbekistan, Turkmenistan e Kazachstan meridionale. Ha così inizio un disastro ambientale inarrestabile, che porterà negli anni la superficie del lago a ridursi del 90%, lasciando dietro di se’ un paesaggio desertico, quasi lunare.
Un tempo Mujnak si trovava su un’isola ed aveva un porto, che oggi è un cimitero di imbarcazioni abbandonate, mentre la distanza della città dalle rive del lago è triplicata: nel 1990 era di 45km, nel 2013 è di 150km. Dopo quasi 5 ore di viaggio in auto Vitalij e Vadim raggiungono la riva di quel che resta di Aral’, che probabilmente fra dieci anni non esisterà più (foto 7-20).
Vitalij avrebbe voluto spingersi fino all’isola di Vozrozhdenije, in cui l’Unione Sovietica insediò i propri laboratori militari di sperimentazione biochimica, rendendola per 50 anni un territorio assolutamente inaccessibile. Queste strutture vennero chiuse nel 1992, il personale trasferito, parte delle attrezzature portata via…
Nessuno sa esattamente cosa sia stato abbandonato e quali siano attualmente le condizioni sull’isola. Per ironia della sorte il suo nome in russo significa “rinascita” (n.d.t.)
Ciò non è stato possibile, poiché di recente è stato scoperto un giacimento petrolifero ora controllato militarmente.
Il viaggio prosegue per Chiva (foto 25-32), un museo a cielo aperto con i suoi meravigliosi minareti e le alte mura di argilla, e poi, attraversando il deserto, giunge fino a Buchara (foto 33-38) e Samarcanda (foto 39-40), città fra le più antiche dell’Asia centrale e importanti centri di riferimento lungo la leggendaria Via della Seta, i cui mercati richiamavano commercianti da India, Cina, Iran e molti altri paesi.
Attraversato il confine e dopo aver percorso tortuose strade di montagna due raggiungono Dushambe e quindi il lago Iskanderkul, sulle montagne Fann, catena montuosa del Pamir (foto 41-52), arrivando così alla loro meta: la catena montuosa che divide il Tadzhikistan dall’Afghanistan, paese che esploreranno in uno dei loro prossimi viaggi.